In ordine sparso...

Una selezione di testi, canzoni, poesie, brani tratti dal cinema e scelti dalla sottoscritta..

BM

Mare nostro di Erri De Luca

Mare nostro che non sei nei cieli
E abbracci i confini dell'isola e del mondo
Sia benedetto il tuo sale
Sia benedetto il tuo fondale
Accogli le gremite imbarcazioni senza una strada sopra le tue onde
I pescatori usciti nella notte
Le loro reti tra le tue creature
Che tornano al mattino con la pesca dei naufraghi salvati
Mare nostro che non sei nei cieli all'alba sei il colore del frumento
Al tramonto dell'uva di vendemmia
Ti abbiamo seminato di annegati più di qualunque età delle tempeste
Mare nostro che non sei nei cieli tu sei più giusto della terraferma
Pure quando sollevi onde a muraglia poi le abbassi a tappeto
Custodisci le vite
Le visite cadute come foglie sul viale
Fai da autunno per loro
Da carezza da abbraccio, bacio in fronte
Di Madre e Padre prima di partire

Erri De Luca

Un pensiero di Daria Bignardi

Fonte: web
Fonte: web
Le donne che leggono sono pericolose perché non si annoiano mai, qualunque cosa accada hanno sempre una via di fuga.
Se ne infischiano se le fai troppo soffrire perchè loro s'innamorano di un altro libro, di un'altra storia, e ti abbandonano.
Le donne che leggono sono pericolose perchè nutrono i loro sogni e non c'è nulla di più rivoluzionario di una donna che sogna di cambiare la propria vita, se lo fa, farà la rivoluzione, se non la fa seminerà il terrore. 
Le donne che leggono sono pericolose soprattutto per sé stesse.
Ci sarà un motivo se la storia dell'umanità ha ritardato la lettura alle donne, la natura sapeva che avrebbe complicato loro la vita.
Comunque sia, pazienza, leggere è meraviglioso. 

Da Va' dove ti porta il cuore di Susanna Tamaro

Ogni volta che ti sentirai smarrita, confusa, pensa agli alberi, ricordati del loro modo di crescere. Ricordati che un albero con molta chioma e poche radici viene sradicato al primo colpo di vento, mentre in un albero con molte radici e poca chioma la linfa scorre a stento. Radici e chioma devono crescere in egual misura, devi stare nelle cose e starci sopra, solo così potrai offrire ombra e riparo, solo così alla stagione giusta potrai coprirti di fiori e frutti.

Da Novecento di Alessandro Baricco

Immagine dal film "La leggenda del pianista sull'oceano"  Fonte: Web
Immagine dal film "La leggenda del pianista sull'oceano" Fonte: Web

 

 

 

A me m'ha sempre colpito questa faccenda dei quadri. Stanno su per anni, poi senza che accada nulla, ma nulla dico, fran, giù, cadono.

Stanno lì attaccati al chiodo, nessuno gli fa niente, ma loro a un certo punto, fran, cadono giù, come sassi.

Nel silenzio più assoluto, con tutto immobile intorno, non una mosca che vola, e loro, fran.

Non c'è una ragione. Perché proprio in quell'istante? Non si sa. Fran.

Cos'è che succede a un chiodo per farlo decidere che non ne può più? C'ha un'anima, anche lui, poveretto? Prende delle decisioni? Ne ha discusso a lungo col quadro, erano incerti sul da farsi, ne parlavano tutte le sere, da anni, poi hanno deciso una data, un'ora, un minuto, un istante, è quello, fran.

O lo sapevano già dall'inizio, i due, era già tutto combinato, guarda io mollo tutto fra sette anni, per me va bene, okay allora intesi per il 13 maggio, okay, verso le sei, facciamo sei meno un quarto, d'accordo, allora buona notte, 'notte. Sette anni dopo, 13 maggio, sei meno un quarto: fran.

Non si capisce. È una di quelle cose che è meglio che non ci pensi, se no ci esci matto. Quando cade un quadro. Quando ti svegli, un mattino, e non la ami più. Quando apri il giornale e leggi è scoppiata la guerra. Quando vedi un treno e pensi io devo andarmene da qui. Quando ti guardi allo specchio e ti accorgi che sei vecchio. Quando, in mezzo all'Oceano, Novecento alzò lo sguardo dal piatto e mi disse: "A New York, fra tre giorni, io scenderò da questa nave".

Ci rimasi secco. Fran.

Er Cervo

Un vecchio Cervo un giorno
sfasciò co' du' cornate
le staccionate che ciaveva intorno.
Giacché me metti la rivoluzzione,
je disse l'Omo appena se n'accorse -
te tajerò le corna, e allora forse
cambierai d'opinione...

No, - disse er Cervo - l'opinione resta
perché er pensiero mio rimane quello:
me leverai le corna che ciò in testa,
ma no l'idee che tengo ner cervello.

 

Trilussa

L'anno nuovo

Indovinami, indovino,

tu che leggi nel destino:
l’anno nuovo come sarà?
Bello, brutto o metà e metà?
Trovo stampato nei miei libroni
che avrà di certo quattro stagioni,
dodici mesi, ciascuno al suo posto,
un carnevale e un ferragosto,
e il giorno dopo il lunedì
sarà sempre un martedì.
Di più per ora scritto non trovo
nel destino dell’anno nuovo:
per il resto anche quest’anno
sarà come gli uomini lo faranno.

 

Gianni Rodari

E' Natale

E' Natale ogni volta
che sorridi a un fratello
e gli tendi la mano.

 

E' Natale ogni volta
che rimani in silenzio
per ascoltare l'altro.

 

E' Natale ogni volta
che non accetti quei principi
che relegano gli oppressi
ai margini della società.

 

E' Natale ogni volta
che speri con quelli che disperano
nella povertà fisica e spirituale.

 

E' Natale ogni volta
che riconosci con umiltà
i tuoi limiti e la tua debolezza.

 

E' Natale ogni volta
che permetti al Signore
di rinascere per donarlo agli altri.

 

Madre Teresa di Calcutta

Piccole cose di valore non quantificabile

Una notte, in una stazione dei carabinieri, un brigadiere raccoglie l'insolita denuncia di una ragazza a cui hanno rubato i sogni. Il cortometraggio: Piccole cose di valore non quantificabile (1999) è dei registi italiani Paolo Genovese e Luca Miniero. Grazie alla levità e alla delicatezza dei toni utilizzati dai due autori per descrivere la storia, il “corto” può aiutare a comprendere tanto le difficoltà che chi è abusato incontra nel denunciare la propria condizione, quanto, allo stesso tempo, quelle di chi deve raccogliere la denuncia a calarsi nel ruolo di “interprete” mai invadente, anzi pronto a decifrare con intelligenza i segnali solo apparentemente oscuri di chi ha subito un sopruso troppo grave per essere descritto attraverso il linguaggio di tutti i giorni.

 

Fonte: web

 

 

 

Innamoratevi

Su, su, svelti, veloci, piano, con calma, non vi affrettate.

 

Non scrivete subito poesie d’amore che sono le più difficili,

aspettate almeno un’ottantina di anni.

 

Scrivete su un altro argomento, che ne so…

sul mare, vento, un termosifone, un tram in ritardo.

 

Non esiste una cosa più poetica di un’altra.

 

La poesia non è fuori, è dentro.

 

Cos’è la poesia?

Non chiedermelo più, guardati allo specchio, la poesia sei tu.

 

Vestitele bene le poesie.
Cercate bene le parole, dovete sceglierle.
A volte ci vogliono otto mesi per trovare una parola.

 

Scegliete,

perchè la bellezza è cominciata quando qualcuno ha cominciato a scegliere,

da Adamo ed Eva.

Lo sapete quanto c’ha messo Eva prima di scegliere la foglia di fico giusta?

Ha sfogliato tutti i fichi del paradiso terrestre.

 

Innamoratevi.
Se non vi innamorate è tutto morto.
Vi dovete innamorare e diventa tutto vivo, si muove tutto.

 

Dilapidate la gioia, sperperate l’allegria.
Siate tristi e taciturni con l’esuberanza.
Fate soffiare in faccia alla gente la felicità.

 

Per trasmettere la felicità,

bisogna essere felici

e per trasmettere il dolore bisogna essere felici.

Siate felici.

 

Dovete patire, stare male, soffrire.
Non abbiate paura a soffrire. Tutto il mondo soffre.
E se non vi riesce, non avete i mezzi,

non vi preoccupate, tanto per fare poesia una sola cosa è necessaria: tutto.
E non cercate la novità.

La novità è la cosa più vecchia che ci sia.
E se il verso non vi viene da questa posizione,

da questa, da così, buttatevi in terra, mettetevi così.
E’ da distesi che si vede il cielo.

Guarda che bellezza, perchè non mi ci sono messo prima?!
Cosa guardate? I poeti non guardano, vedono.

 

Fatevi obbedire dalle parole.
Se la parola è “muro” e “muro” non vi dà retta,

non usatela più per otto anni, così impara!

 

Questa è la bellezza come quei versi là che voglio che rimangano scritti lì per sempre..

 

Forza, cancellate tutto!

 

Tratto da La tigre e la neve,

Italia 2005

 

 

Monologo di Benjamin Button

Per quello che vale, non è mai troppo tardi, o nel mio caso troppo presto, per essere quello che vuoi essere.

 

Non c'è limite di tempo, comincia quando vuoi, puoi cambiare o rimanere come sei, non esiste una regola in questo.

 

Possiamo vivere ogni cosa al meglio o al peggio,

spero che tu viva tutto al meglio,

spero che tu possa vedere cose sorprendenti,

spero che tu possa avere emozioni sempre nuove,

spero che tu possa incontrare gente con punti di vista diversi,

spero che tu possa essere orgogliosa della tua vita

e se ti accorgi di non esserlo,

spero che tu trovi la forza di ricominciare da zero.

 

Tratto da Il curioso caso di Benjamin Button

USA, 2008

Il disoccupato (dramma in un atto) (199?)

Personaggi: l'impiegato dell'ufficio di collocamento, l'uomo con la barba.

 

Impiegato: - Il suo nome, prego?
Uomo:
- Nicola
- Nicola e basta?
- Ehm... metta Nicola Di Natale...
- Ha un codice fiscale, una partita Iva?
- No, niente...
- Che lavoro faceva prima?
- Ehm... trasporto... trasportavo merce...
- Quindi sa guidare un camion.
- No
- E con cosa la trasportava?
- Ehm.. mezzi miei.
- Senta: lei sa quanto é difficile oggi trovare un lavoro. Se lei mi si presenta qui dicendo mezze parole e mugugnando, si scordi che possa aiutarla... sia più preciso: per che ditta lavorava?
- Articoli su richiesta del cliente.
- Una specie di Postal Market?
- Sì. Il cliente scriveva una lettera e noi recapitavamo la merce, se possibile.
- In che senso "se possibile"?
- Se il cliente era buono...
- Buono nel senso di solvibile? Se poteva pagare, cioè.
- Uhmmm...
- E dai! Mugugni pure! Guadagnava a percentuale? A forfait?
- Avevo un rimborso spese per me e per i miei aiutanti.
- Aiutanti. Quanti?
- Dodici.
- Nomi?
- Erna, Lorna, Mabel, Karen, Gina, Elsa, Brigitte, Blinka, Sonia, Viska, Molly, Selma...
- Ahi ahi, andiamo bene. Magari non ha mai pagato i contributi...
- I cosa?
- Senta, la sua situazione è perlomeno torbida... e con queste dodici "aiutanti" cosa faceva? Sa che il lenocinio è proibito?
- No no... le mie aiutanti... ecco, mi aiutavano a trasportare la merce.
- Credo di capire...neve?
- Neve, sì, tanta... ne ho visto tanta, di neve.
- Guardi: non so se lei mi sta prendendo in giro, ma adesso chiamo la polizia.
- No la prego no... i mie bambini...
- Ha dei bambini?
- Sì ho dei bambini che mi aspettano.
- Quanti?
- Circa quattromila.
- Lei mi spaventa.
- No. Io amo i bambini. E loro amano me.
- E come li frequenta tutti questi bambini?
- Entro nelle loro case, di notte...
- Ha la chiave?
- Per la verità, no.
- Bene. Se ho capito bene allora lei è ruffiano, spaccia eroina, è pedofilo, ladro e cerca lavoro...
- Non capisco...
- Giù la maschera, signore... e si tolga quella barbona che è palesemente finta. Ho già suonato l'allarme e entro tre minuti la polizia sarà qui.
- Oh Dio! Che scandalo!
- Non faccia gesti inconsulti. Mi dica chi è lei veramente!
- Io mi chiamo Papà Natale.
- E' un rapper? E' un posse?
- No, sono quello che distribuisce i regali, i giocattoli. Come posso spiegare? Lei ha un figlio? Ebbene suo figlio crede che lei si me... o viceversa...
- Lei è pazzo!
- Suo figlio mi ha scritto e una di queste notti, io entrerò in casa sua.
- In casa mia? Io le sparo!
- Ma è possibile che lei non sia mai stato bambino. Io ho amato anche lei...
- Lei è pericoloso (impugna una pistola).
- No, non lo faccia.(Entrano dodici renne). Lo faccia per loro...
- Adesso sì che ho capito.
- Meno male.
- E' Candid Camera, vero? (Sorride guardandosi intorno)
(L'uomo con la barba bianca se ne va, sconsolato).

 

(Stefano Benni dal fu "Cuore", settimanale di resistenza umana)

 


 

Scrivere un curriculum

Cos’è necessario?
E’ necessario scrivere una domanda,
e alla domanda allegare il curriculum.

A prescindere da quanto si è vissuto
il curriculum dovrebbe essere breve.

E’ d’obbligo concisione e selezione dei fatti.
Cambiare paesaggi in indirizzi
e ricordi incerti in date fisse.

Di tutti gli amori basta quello coniugale,
e dei bambini solo quelli nati.

Conta di più chi ti conosce di chi conosci tu.
I viaggi solo se all’estero.
L’appartenenza a un che, ma senza perché.
Onorificenze senza motivazione.

Scrivi come se non parlassi mai con te stesso
e ti evitassi.

Sorvola su cani, gatti e uccelli,
cianfrusaglie del passato, amici e sogni.

Meglio il prezzo che il valore
e il titolo che il contenuto.
Meglio il numero di scarpa, che non dove va
colui per cui ti scambiano.
Aggiungi una foto con l’orecchio scoperto.
E’ la sua forma che conta, non ciò che sente.
Cosa si sente?
Il fragore delle macchine che tritano la carta.

 

 

Wislawa Szymborska, "Vista con granello di sabbia"

 

 

 

 

 

 

Per augurarvi un Buon 2012!

Prontuario per il brindisi di Capodanno

Bevo a chi è di turno, in treno, in ospedale,
cucina, albergo, radio, fonderia,
in mare, su un aereo, in autostrada,
a chi scavalca questa notte senza un saluto,
bevo alla luna prossima, alla ragazza incinta,
a chi fa una promessa, a chi l’ha mantenuta,
a chi ha pagato il conto, a chi lo sta pagando,
a chi non è invitato in nessun posto,
allo straniero che impara l’italiano,
a chi studia la musica, a chi sa ballare il tango,
a chi si è alzato per cedere il posto,
a chi non si può alzare, a chi arrossisce,
a chi legge Dickens, a chi piange al cinema,
a chi protegge i boschi, a chi spegne un incendio,
a chi ha perduto tutto e ricomincia,
all’astemio che fa uno sforzo di condivisione,
a chi è nessuno per la persona amata,
a chi subisce scherzi e per reazione un giorno sarà eroe,
a chi scorda l’offesa, a chi sorride in fotografia,
a chi va a piedi, a chi sa andare scalzo,
a chi restituisce da quello che ha avuto,
a chi non capisce le barzellette,
all’ultimo insulto che sia l’ultimo,
ai pareggi, alle ics della schedina,
a chi fa un passo avanti e così disfa la riga,
a chi vuol farlo e poi non ce la fa,
infine bevo a chi ha diritto a un brindisi stasera
e tra questi non ha trovato il suo.

 

Erri De Luca, L'ospite incallito

 

 

 

 

Quando ho cominciato ad amarmi

Quando ho cominciato ad amarmi davvero,
ho capito com'è imbarazzante aver voluto imporre a qualcuno i miei desideri,
pur sapendo che i tempi non erano maturi e la persona non era pronta,
anche se quella persona ero io.
Oggi so che questo si chiama "rispetto".

Quando ho cominciato ad amarmi davvero,
ho smesso di desiderare un'altra vita e mi sono accorto
che tutto ciò che mi circonda é un invito a crescere.
Oggi so che questo si chiama "maturità".

Quando ho cominciato ad amarmi davvero,
ho capito di trovarmi sempre ed in ogni occasione al posto giusto nel momento giusto
e che tutto quello che succede va bene.
Da allora ho potuto stare tranquillo.
Oggi so che questo si chiama "stare in pace con se stessi".

Quando ho cominciato ad amarmi davvero,
ho smesso di privarmi del mio tempo libero
e di concepire progetti grandiosi per il futuro.
Oggi faccio solo ciò che mi procura gioia e divertimento,
ciò che amo e che mi fa ridere, a modo mio e con i miei ritmi.
Oggi so che questo si chiama "sincerità".

Quando ho cominciato ad amarmi davvero,
mi sono liberato di tutto ciò che non mi faceva del bene:
persone, cose, situazioni
e tutto ciò che mi tirava verso il basso allontanandomi da me stesso;
all'inizio lo chiamavo "sano egoismo",
ma oggi so che questo è "amore di sé".

Quando ho cominciato ad amarmi davvero,
ho smesso di voler avere sempre ragione.
E cosi ho commesso meno errori.
Oggi mi sono reso conto che questo si chiama "semplicità".

Quando ho cominciato ad amarmi davvero,
mi sono rifiutato di vivere nel passato e di preoccuparmi del mio futuro.
Ora vivo di più nel momento presente, in cui tutto ha un luogo.
E' la mia condizione di vita quotidiana e la chiamo "perfezione".

Quando ho cominciato ad amarmi davvero,
mi sono reso conto che il mio pensiero può rendermi miserabile e malato.
Ma quando ho chiamato a raccolta le energie del mio cuore,
l'intelletto è diventato un compagno importante.
Oggi a questa unione do il nome di "saggezza interiore".

Non dobbiamo continuare a temere i contrasti,
i conflitti e i problemi con noi stessi e con gli altri
perché perfino le stelle, a volte, si scontrano fra loro
dando origine a nuovi mondi.

Oggi so che tutto questo è la vita.

 

 

Charlie Chaplin



 

 

 

E crescendo impari...

E crescendo impari che la felicità non è quella delle grandi cose.

Non è quella che si insegue a vent'anni, quando, come gladiatori si combatte il mondo per uscirne vittoriosi...

La felicità non è quella che affannosamente si insegue credendo che l'amore sia tutto o niente...
Non è quella delle emozioni forti che fanno il "botto" e che esplodono fuori con tuoni spettacolari...
La felicità non è quella di grattacieli da scalare, di sfide da vincere mettendosi continuamente alla prova.

Crescendo impari che la felicità è fatta di cose piccole ma preziose…

E impari che il profumo del caffè al mattino è un piccolo rituale di felicità, che bastano le note di una canzone, le sensazioni di un libro dai colori che scaldano il cuore, che bastano gli aromi di una cucina, la poesia dei pittori della felicità, che basta il muso del tuo gatto o del tuo cane per sentire una felicità lieve.

E impari che la felicità è' fatta di emozioni in punta di piedi, di piccole esplosioni che in sordina allargano il cuore, che le stelle ti possono commuovere e il sole far brillare gli occhi, e impari che un campo di girasoli sa illuminarti il volto, che il profumo della primavera ti sveglia dall'inverno, e che sederti a leggere all'ombra di un albero rilassa e libera i pensieri.

E impari che l'amore e' fatto di sensazioni delicate, di piccole scintille allo stomaco, di presenze vicine anche se lontane, e impari che il tempo si dilata e che quei cinque minuti sono preziosi e lunghi più di tante ore, e impari che basta chiudere gli occhi, accendere i sensi, sfornellare in cucina, leggere una poesia, scrivere su un libro o guardare una foto per annullare il tempo e le distanze ed essere con chi ami.

E impari che sentire una voce al telefono, ricevere un messaggio inaspettato, sono piccolo attimi felici.

E impari ad avere, nel cassetto e nel cuore, sogni piccoli ma preziosi.

E impari che tenere in braccio un bimbo e' una deliziosa felicità.

E impari che i regali più grandi sono quelli che parlano delle persone che ami...

E impari che c'è' felicità anche in quella urgenza di scrivere su un foglio i tuoi pensieri, che c'è qualcosa di amaramente felice anche nella malinconia.

E impari che nonostante le tue difese, nonostante il tuo volere o il tuo destino, in ogni gabbiano che vola c'è nel cuore un piccolo-grande Jonathan Livingston.

E impari quanto sia bella e grandiosa la semplicità.

Anonimo

 

 

Il tempo

“Dov’è?”

“Chi?”

“Il Tempo. Dov’è, dimmi, lo devo sapere!”

“Perché?”

“Ne ho bisogno”

“Per quale motivo?”

“Per rivolgergli una preghiera. Se sai dov’è, dimmelo”.

“Non lo so. Non ho mai conosciuto il Tempo. Eppure sono qui da sempre. Lo aspetto, ma so già che non si farà mai vivo, perché io non lo temo”.

“Ti sbriciolerà in sassi, e poi in polvere. Ti dileguerai nel vento. Il Tempo è potente”.

“Lo so, ma non me ne curo. Alla fine è sempre lui a vincere, quindi non lo combatto. Quando mi accorgerò della sua presenza sarà tutto finito. Sarò di nuovo sabbia, pronta per ricominciare”.

Abbandonai la Montagna.

Neppure lei sapeva dove giacesse il Tempo. La Montagna semplicemente esisteva, così come esisteva il Tempo, ma non si erano mai presentati.

Camminai a lungo, fino alla grande distesa di acqua salata che ha nome Mare.

“Dov’è? Sei tu che lo nascondi?”

“Chi?”

“Il Tempo”.

“Non so di cosa tu stia parlando”.

“Come? Non sai cosa sia il Tempo?”

“Ah… il Tempo! Che m’importa di lui? Il Tempo non esiste”.

“Perché dici questo?”

“Per me non ha senso dire prima o dire poi. Io sono sempre qua. Solo due cose esistono: la Pioggia e il Sole. La Pioggia mi dà la vita, il Sole me la toglie. Del loro eterno conflitto io mi nutro. Se uno dei due vincesse, allora avrebbe senso parlare di un prima e parlare di un poi, e crederei nel Tempo. Ma a quel punto mi interesserebbe ben poco, perché per me sarebbe comunque la fine”.

“Dunque esistono solo la Pioggia e il Sole?”

“Solo loro”.

“E io, e te, e la Montagna, e tutti gli altri?”

“Noi non contiamo, siamo solo parassiti”.

Lasciai anche il Mare: lui non credeva nel Tempo. Era solo uno sciocco manicheo che nulla riusciva a turbare.

Ogni tanto si metteva a litigare col Vento, ma finivano sempre per fare pace e ricominciavano a carezzarsi lungo il confine dei loro mondi. Ambedue esistevano senza farsi troppi problemi.

Ma io vivevo, per me era diverso. Se non fossi riuscito a convincere il Tempo, io avrei compiuto un solo ciclo e tutto sarebbe finito lì. Sarei passato come una meteora nell’indifferenza del mondo, e in poche onde anche il mare si sarebbe scordato di me.

Sentii la speranza scivolar via, e piansi a lungo. Una voce mi distolse dai miei pensieri.

“Smettila, adesso. Che hai da piangere?”

Era una Quercia.

“Piango perché non sono riuscito a trovare il Tempo. Eppure l’ho cercato a lungo e l’ho cercato ovunque”.

“Che volevi da lui?”

“Volevo dirgli che… che… Oddio, non mi ricordo più, eppure so che era importante! Che mi succede?!”

“E’ il Tempo che si difende. Ora egli è qui. Ti è sempre stato accanto, fin da quando sei partito”.

“Perché non mi ha mai risposto?”

“Perché non può darti ciò che vuoi chiedergli”.

“Ma cosa volevo? Non mi ricordo più…”

“Volevi l’oblio”.

“L’oblio?”

“Sì, l’oblio, la dimenticanza. Tu vuoi che il Tempo si scordi di te. Non ti basta più vivere, vuoi cominciare a esistere, come la Montagna, il Mare, il Vento”.

“E’ vero, volevo questo. Volevo esistere per sempre. Perché non posso?”

“Perché vivere è più che esistere, e perché nessuno e nulla può fermare il tempo. E ora ascolta. Pensa ad un istante di dolore che si moltiplica e si dilata in infiniti cicli di esistenza, o ad un momento di solitudine che ti inaridisce l’anima nella fissità di un attimo eterno. Pensa al dolore del ricordo che il Tempo non potrà più sbiadire, alla forzata prigionia del tuo essere, incatenato al ritmico succedersi di eventi sempre uguali. Tu vuoi davvero questo?”

“No, ma anche l’idea di chiudere tutto in un lampo mi gela il sangue. Voglio sottrarmi a questo destino”.

“Bene, allora. Guarda accanto ai tuoi piedi”

“Che cos’è?”

“E’ un seme”.

“E allora?”

“Allora, sarà lui a perpetuare la mia esistenza su questa terra, quando il Tempo avrà inghiottito anche me. Esso è una parte di me, ed io sono parte di lui. Questa è l’eternità che è concessa a noi viventi. Così sarà anche per te, che sei in parte ciò ch’è stato e in parte ciò che sarà. Sei un anello di una catena. E ora va, è tempo che anch’io riposi”.

Guardai la Quercia e pensai al Mare, al Vento e alla Montagna, e capii improvvisamente che il Tempo erano tutti loro, e il Cielo, e il Sole, e la Polvere. Il Tempo era in loro e loro erano nel Tempo, e forse non lo sapevano davvero. Oppure sì, e mi avevano mentito.

Ripensai alle parole della Quercia. Erano vere, ma erano solo una parte della verità. C’era dell’altro.

La soluzione era lì, sepolta nel mio cuore.

Smisi di cercare il Tempo e cominciai a cercare Dio.

 

Adriano Stagnaro "Thunder"

 

 

Il dolore è come il postino, suona sempre due volte.

Nel mio caso è un postino suonato, un postino suonato che suona una terza volta anche vent’anni dopo. Com'è che diciamo in questi casi? "Sono un po' esaurito"  Sai invece io come direi in questi casi, fratello? "Sono un po' all'inizio, è il me morto che è esaurito." No, io piango solo e sempre quando sto per cambiare pelle, quando sto per evadere, quando credo di essere sul punto di morire che, puntualmente, corrisponde al punto di rinascere. E ieri il postino ha suonato per la terza volta. Mi ha consegnato un pacco di dolori vecchi, e se n'è andato. Che vuol dire "dolori vecchi"? Che il postino del dolore suona subito, e poi ripassa. Quella è la volta che piangi sul serio. La prima è d'obbligo: muore tua madre, perdi un figlio in un incidente, hai una malattia o vieni licenziato. Il postino suona, ti consegna il pacco. Chiudi la porta, lo apri, piangi. Sembra finita lì. Invece non è neppure cominciata. O meglio: quello è il primo movimento della sinfonia che porterà, magari dopo qualche anno di musica, al gran finale.

 

Il dolore è sempre una grandissima scoperta. Molti malati stanno leggendomi in questo momento, e sanno di che cosa parlo. Solo grazie (si fa per dire, passatemela) solo "grazie" a un tumore, per esempio, hanno scoperto di avere un corpo. Prima, avere un pancreas, o un cervello sano, o un fegato, due polmoni, era acquisito come un diritto. Non so, come l'articolo 21? Di più, (visto i giochini che ci stanno facendo sopra) come la Costituzione in generale? (Anche quella la vedo messa male) Di più, come guardare gli alberi. E' naturale che tu guardi gli alberi, o il mare. Così naturale che, pur guardandoli, non ti accorgi della loro esistenza, ossia che essi (alberi, mare, ) SONO, e sono fatti per te. Passa una petroliera e scarica in mare una lunga, terribile onda nera. Solo ora tu cominci ad avere percezione del mare, solo ora: perché lo stai perdendo. Con la malattia è uguale. Così con i lutti. I tuoi genitori se ne vanno, tua moglie o il tuo ragazzo muoiono. All’inizio è un dolore fulgente come una stella. Una stella nera. Poi ricominci a vivere "senza". Ricominci a guardare il cielo stellato, con un buco nero, che sai, ma ancora non sai quanto lo sai.

 

Infine il postino ritorna: è la consegna dell’atto finale. Di colpo il firmamento è un buio. Lo sapevi già di non avere più tuo padre, o tua moglie, o tuo figlio; e come se lo sapevi! Anche di aver perduto l’amore di quella donna lo sapevi da due anni: lei è viva, ma non ti vuole più, e tu stai già con un'altra. E invece il postino ritorna, consegna il pacco di lacrime vecchie, esce. Lo apri, sai già tutto stavolta, invece qui, ora, dopo magari qualche anno dall'evento, lo fai tuo, completamente, ineluttabilmente, e scoppi in un pianto disperato, irrefrenabile, infinito. E’ proprio il tuo corpo che piange, tu non puoi farci niente, puoi solo assecondarlo, lasciarti trascinare come un tronco da questo fiume in piena. Questo, che ti sembra il tuo punto di morte, la tua notte più orribile è invece l’annunzio dell'alba, il punto di fuga della vita, la rinascita, la liberazione.

Beh, così,  per la cronaca di uno zombie, per qualcuno è stato ieri. Ha pianto la morte di sua madre che, nelle ultime ore,  parlava come una bambina e le sembrava di stare aspettando il treno che da Napoli la portava, a sei anni, alla spiaggia di Torre del Greco. E da quella stanza sul Tevere per malati terminali credeva di essere davanti al mare di Napoli.

 

Ho pianto anche io; ho pianto per voi, ho pianto per me, ho pianto per Gerusalemme e l’Afganistan. Ho pianto coi nervi urlanti, scoperti come sono solo i dolori primari, e non quelli inutili che ci creiamo per sopravvivere. Ho pianto per le due torri, per Israele senza pace, per te che mi scrivi "Non lasciarmi" e io che ti vorrei gridare "Non lasciarmi tu", visto che non ti conosco, labbra di cui non so il suono. Ho pianto tutti i bimbi senza padre, tutti gli animali abbandonati, tutti gli sguardi innocenti della terra. Non so che mi ha preso, ma non ero esaurito, né impaurito, né stanco. Non avevo difese, questo sì, perché ho accettato da tempo di non averne di false. Non esistono difese alla vita e alla morte, sono palle.

 

La vita e la morte fanno di noi quello che vogliono, l'unica carta che possiamo giocare è stabilire che cosa noi vogliamo dalla vita e dalla morte. E questo io l'ho già scelto da bambino. Tutta la luce e tutto il buio che potessi sopportare! E allora devi accogliere e devi reggere. Accogliere e reggere, solo questo puoi fare. E la felicità e il dolore ti porteranno su e giù come gli oceani le navi. E il dolore t'insegnerà ogni volta a contenere ancora più oceano, e il tuo pianto non lo tratterrà, lo restituirà, finché sarai parte di un unico respiro e imparerai a raccordarti col fiato lungo delle maree. E' qui che credi di morire. Perché resistere alla morte non serve a nulla. A niente servono i lifting, le bugie, i colpi di testa, i viaggi del miracolo. A niente serve resistere se non impari anche a assecondare. "E come si impara questo?" Non lo so, accogliendo il dolore degli altri, per me è così. La mia bussola siete solo voi. Chi soffre più di me (e c'è sempre, purtroppo) lui è il mio medico. Gli altri. Tutto quello che ho (e non è poco) l'ho sempre ricavato per sottrazione, guardando chi aveva molto di meno. Solo questo è l'amore che torna: l'amore che dai.

 

Jack Folla alias Diego Cugia

 

 



 

Monologo sugli Italiani

Secondo me gli italiani e l'Italia hanno sempre avuto un rapporto conflittuale.

Ma la colpa non è certo dell'Italia, ma degli italiani che sono sempre stati un popolo indisciplinato, individualista, se vogliamo un po' anarchico, ribelle, e troppo spesso cialtrone.


Secondo me gli italiani non si sentono per niente italiani.

Ma quando vanno all'estero li riconoscono subito.


Secondo me gli italiani sono cattolici e laici.

Ma anche ai più laici piace la benedizione del Papa. Non si sa mai...


Secondo me gli italiani sono poco aggiornati e un po' confusi perché non leggono i giornali. Figuriamoci se li leggessero!


Secondo me non è vero che gli italiani sono antifemministi.

Per loro la donna è troppo importante. Specialmente la mamma.


Secondo me gli italiani hanno sempre avuto come modello i russi e gli americani.

Ecco come va a finire quando si frequentano le cattive compagnie.


Secondo me gli italiani sentono che lo Stato gli vuol bene.

Anche perché non li lascia mai soli.


Secondo me gli italiani sono più intelligenti degli svizzeri.

Ma se si guarda il reddito medio procapite della Svizzera, viene il sospetto che sarebbe meglio essere un po' più scemi.


Secondo me gli italiani sono tutti dei grandi amatori.

Peccato che nessuna moglie italiana se ne sia accorta.


Secondo me gli italiani al bar sono tutti dei grandi statisti.

Ma quando vanno in parlamento sono tutti statisti da bar.


Secondo me un italiano quando incontra uno che la pensa come lui fa un partito.

In due è già maggioranza.


Secondo me gli italiani sono i maggiori acquirenti di telefonini.

E non è vero che tutti quelli che hanno il telefonino sono imbecilli...

è che tutti gli imbecilli hanno il telefonino.


Secondo me gli italiani non sono affatto orgogliosi di essere italiani.

E questo è grave.

Gli altri invece sono orgogliosi di essere inglesi, tedeschi, francesi, e anche americani… e questo è gravissimo.


Secondo me gli italiani sono i più bravi a parlare con i gesti.

E quando devono pagare le tasso fanno… [gesto dell'ombrello].


"Italiani popolo di combattenti". L'ha detto Giosuè Carducci.


"Italiani popolo di pensatori". L'ha detto Benedetto Croce.


"Italiani popolo di eroi". L'ha detto Gabriele D'Annunzio.


"Italiani popolo di sognatori". L'ha detto Gigi Marzullo.


Secondo me gli italiani e l'Italia hanno sempre avuto un rapporto conflittuale.

Ma la colpa non è certo degli italiani, ma dell'Italia che ha sempre avuto dei governi con uomini incapaci, deboli, arroganti, opportunisti, troppo spesso ladri, e in passato a volte addirittura assassini.
Eppure gli italiani, non si sa con quale miracolo, sono riusciti a rendere questo paese accettabile, vivibile, addirittura allegro.

 

Giorgio Gaber

 

 

 

 

 

Date, date quanto potete

Non c'è bisogno di essere ricchi per far del bene, per incoraggiare, invece di soffocare, il buono che c'è in ciascuno ai noi, per dare ai poveri la sensazione di essere, anch'essi, degli esseri umani.
In tutto si può cominciare dalle piccole cose: per esempio, in tram non vi alzate solo per cedere il vostro posto a una elegante signora, ma fatelo anche per una donna mal vestita; scusatevi con premura anche se pestate i piedi a un poveraccio.
L'esempio è sempre seguito: cercate di essere voi a dare il buon esempio e vedrete che gli altri vi imiteranno. Un pò alla volta, il numero delle persone che diventeranno affabili, gentili, amichevoli, cresceranno, sino a che la povera gente non sarà più guardata dall'alto in basso.
Oh, se potessimo esser già arrivati a questo punto, se il nostro paese, l'Europa, il mondo intero avesse compreso che, in sostanza, tutti abbiamo in noi dei sentimenti buoni e generosi l'uno verso l'altro,tutti siamo uguali e che ogni altra cosa è solo passeggera.
La maggior parte di noi, proprio come in tante altre cose, cerca la giustizia dagli altri, e, si lamenta perché crede di non riceverne abbastanza.
Aprite gli occhi, assicuratevi di essere giusti voi stessi.
Date, date quanto potete, e potete sempre dar qualcosa, non foss'altro che gentilezza.
Se tutti facessero così, se nessuno fosse avaro di una buona parola ci sarebbe, a questo mondo, più giustizia e più amore.
 
Dal "Diaro di Anna Frank"
 
 



Considero valore

Considero valore ogni forma di vita, la neve, la fragola, la mosca.
Considero valore il regno minerale, l’assemblea delle stelle.
Considero valore il vino finché dura il pasto, un sorriso involontario,
la stanchezza di chi non si è risparmiato, due vecchi che si amano.
Considero valore quello che domani non varrà più niente
e quello che oggi vale ancora poco.

Considero valore tutte le ferite.
Considero valore risparmiare acqua, riparare un paio di scarpe,
tacere in tempo, accorrere a un grido, chiedere permesso prima di sedersi,
provare gratitudine senza ricordare di che.

Considero valore sapere in una stanza dov’è il nord,
qual è il nome del vento che sta asciugando il bucato.
Considero valore il viaggio del vagabondo, la clausura della monaca,
la pazienza del condannato, qualunque colpa sia.

Considero valore l’uso del verbo amare e l’ipotesi che esista un creatore.
Molti di questi valori non ho conosciuto.

 

Erri De Luca, da “Opera sull’acqua e altre poesie”

 


 

 

 

Bonny di Sandalyon

Ti ho incontrata la prima volta alla festa di San Michele.

In realtà non sono così certo fossi tu.

I bambini lo sai si assomigliano un po’ tutti.

Indossavi una camicia di lino colorata, con il corpetto, la gonna, il grembiule ed un curioso copricapo che mostrava ganci di ferro battuto.

Il tuo vestito era ricco di spille e bottoni in filigrana, di corallo e perle.

Era un giorno di tarda primavera. Tutti mostravano di non gradire lo scirocco che soffiava impetuoso, rendendo l’aria più calda.

Ma tu ridevi, radiosa, come solo certi bambini sanno ridere e tenevi stretto nella mano un fiore.

Forse pensavi di possedere le porte del paradiso.

Mi è rimasto sempre il rimpianto di non averti chiesto nulla.

Ma cosa vuoi, io ero già cosi grande,

e tu piccola.

Troppo piccola per rispondere a domande di chi viene da lontano.

 

La seconda volta fu alla grotta di Nereo,

io inseguivo i miei leggendari grifoni

perché qualcuno mi aveva detto che avrei potuto trovarli laggiù,

e invece m‘imbattei in qualcuno che non mi aspettavo di vedere,

una ragazzina non più bambina

ma vicina ad essere donna

Con un sorriso smagliante

ed in mano un fiore.

 

L’ultima volta, ieri.

Dopo avere attraversato foreste suggestive, stagni e lagune,

e tumultuosi torrenti

e giare e tonneri

e scogliere frastagliate e cime a strapiombo sul nulla di un mare azzurro

Ti ho finalmente ritrovata presso il pozzo sacro di un nuraghe.

Mi ero ripromesso di non perderti più, per questo mi sono avvicinato.

Ti ho fatto una domanda, forse ho chiesto il tuo nome.

Mi hai risposto in una lingua sconosciuta, ma con un suono familiare,

Mi sembrava spagnolo, oppure una sua variante, catalano, forse.

Ho compreso una parola soltanto, Bonaria.

E intanto

ancora una volta

sorridevi

con un fiore fra le mani.

 

Gian Cavallo

 

Questa poesia è un regalo unico che mi ha fatto il mio carissimo amico Gian, una delle cose più belle che ho ricevuto nella mia vita e che custodirò sempre nel cuore.

 

 

 

Donne in rinascita

Donne in rinascita.
Più dei tramonti, più del volo di un uccello, la cosa meravigliosa in assoluto è una donna in rinascita.
Quando si rimette in piedi dopo la catastrofe, dopo la caduta.
Che uno dice: è finita.
No, non è mai finita per una donna.
Una donna si rialza sempre, anche quando non ci crede, anche se non vuole.
Non parlo solo dei dolori immensi, di quelle ferite da mina anti-uomo che ti fa la morte o la malattia.
Parlo di te, che questo periodo non finisce più, che ti stai giocando l'esistenza in un lavoro difficile, che ogni mattina è un esame, peggio che a scuola.
Te, implacabile arbitro di te stessa, che da come il tuo capo ti guarderà deciderai se sei all'altezza o se ti devi condannare.
Così ogni giorno, e questo noviziato non finisce mai.
E sei tu che lo fai durare.
Oppure parlo di te, che hai paura anche solo di dormirci, con un uomo; che sei terrorizzata che una storia ti tolga l'aria, che non flirti con nessuno perché hai il terrore che qualcuno s'infiltri nella tua vita.
Peggio: se ci rimani presa in mezzo tu, poi soffri come un cane.
Sei stanca: c'è sempre qualcuno con cui ti devi giustificare, che ti vuole cambiare, o che devi cambiare tu per tenertelo stretto.
Così ti stai coltivando la solitudine dentro casa.
Eppure te la racconti, te lo dici anche quando parli con le altre: "Io sto bene così. Sto bene così, sto meglio così".
E il cielo si abbassa di un altro palmo.
Oppure con quel ragazzo ci sei andata a vivere, ci hai abitato Natali e Pasqua.
In quell'uomo ci hai buttato dentro l'anima ed è passato tanto tempo, e ne hai buttata talmente tanta di anima, che un giorno cominci a cercarti dentro lo specchio perché non sai più chi sei diventata.
Comunque sia andata, ora sei qui e so che c'è stato un momento che hai guardato giù e avevi i piedi nel cemento.
Dovunque fossi, ci stavi stretta: nella tua storia, nel tuo lavoro, nella tua solitudine.
Ed è stata crisi, e hai pianto.
Dio quanto piangete!
Avete una sorgente d'acqua nello stomaco.
Hai pianto mentre camminavi in una strada affollata, alla fermata della metro, sul motorino.
Così, improvvisamente. Non potevi trattenerlo.
E quella notte che hai preso la macchina e hai guidato per ore, perché l'aria buia ti asciugasse le guance?
E poi hai scavato, hai parlato, quanto parlate, ragazze!
Lacrime e parole. Per capire, per tirare fuori una radice lunga sei metri che dia un senso al tuo dolore.
"Perché faccio così? Com'è che ripeto sempre lo stesso schema? Sono forse pazza?"
Se lo sono chiesto tutte.
E allora vai giù con la ruspa dentro alla tua storia, a due, a quattro mani, e saltano fuori migliaia di tasselli. Un puzzle inestricabile.
Ecco, è qui che inizia tutto. Non lo sapevi?
E' da quel grande fegato che ti ci vuole per guardarti così, scomposta in mille coriandoli, che ricomincerai.
Perché una donna ricomincia comunque, ha dentro un istinto che la trascinerà sempre avanti.
Ti servirà una strategia, dovrai inventarti una nuova forma per la tua nuova te.
Perché ti è toccato di conoscerti di nuovo, di presentarti a te stessa.
Non puoi più essere quella di prima. Prima della ruspa.
Non ti entusiasma? Ti avvincerà lentamente.
Innamorarsi di nuovo di se stessi, o farlo per la prima volta, è come un diesel.
Parte piano, bisogna insistere.
Ma quando va, va in corsa.
E' un'avventura, ricostruire se stesse.
La più grande.
Non importa da dove cominci, se dalla casa, dal colore delle tende o dal taglio di capelli.
Vi ho sempre adorato, donne in rinascita, per questo meraviglioso modo di gridare al mondo "sono nuova" con una gonna a fiori o con un fresco ricciolo biondo.
Perché tutti devono capire e vedere: "Attenti: il cantiere è aperto, stiamo lavorando anche per voi.
Ma soprattutto per noi stesse".
Più delle albe, più del sole, una donna in rinascita è la più grande meraviglia.
Per chi la incontra e per se stessa.
È la primavera a novembre.
Quando meno te l'aspetti...
 
 Jack Folla alias Diego Cugia
 

 

Il valore del tempo

Per scoprire il valore di un anno, chiedilo a uno studente che e' stato bocciato all'esame finale.
 
Per scoprire il valore di un mese, chiedilo a una madre che ha messo al mondo un bambino troppo presto.
 
Per scoprire il valore di una settimana, chiedilo all'editore di una rivista settimanale.
 
Per scoprire il valore di un'ora, chiedila agli innamorati che stanno aspettando di vedersi.
 
Per scoprire il valore di un minuto, chiedilo a qualcuno che ha appena perso il treno, il bus o l'aereo.
 
Per scoprire il valore di un secondo, chiedilo a qualcuno che è sopravvissuto a un incidente.
 
Per scoprire il valore di un millisecondo, chiedilo ad un atleta che alle Olimpiadi ha vinto la medaglia d'argento.
 
Il tempo non aspetta nessuno.
 
Raccogli ogni momento che ti rimane,
perché ha un grande valore. Condividilo con una persona speciale,
e diventerà ancora più importante.
 
Anonimo

 


 

Mai più come ieri

Non può essere mai come ieri

Mai più la stessa storia…


 

 

 

 

Accetta il consiglio

Goditi potere e bellezza della tua gioventù. Non ci pensare.
Il potere di bellezza e gioventù lo capirai solo una volta appassite.
Ma credimi tra vent'anni guarderai quelle tue vecchie foto.
E in un modo che non puoi immaginare adesso.
Quante possibilità avevi di fronte e che aspetto magnifico avevi!
Non eri per niente grasso come ti sembrava.

Non preoccuparti del futuro.
Oppure preoccupati, ma sapendo che questo ti aiuta quanto masticare
un chewing-gum per risolvere un'equazione algebrica.
I veri problemi della vita saranno sicu ramente cose che non t'erano mai
passate per la mente.
Di quelle che ti pigliano di sorpresa alle quattro di un pigro martedì pomeriggio.
Fa' una cosa, ogni giorno che sei spaventato... canta.
Non esser crudele col cuore degli altri.
Non tollerare la gente che è crudele col tuo.
Lavati i denti. Non perder tempo con l'invidia.
A volte sei in testa. A volte resti indietro.
La corsa è lunga e alla fine è solo con te stesso.
Ricorda i complimenti che ricevi, scordati gli insulti.
Se ci riesci veramente dimmi come si fa.
Conserva tutte le vecchie lettere d'amore, butta i vecchi estratti conto.
Rilassati.
Non sentirti in colpa se non sai cosa vuoi fare della tua vita.
Le persone più interessanti che conosco, a ventidue anni non sapevano che fare
della loro vita. I quarantenni più interessanti che conosco ancora non lo sanno.
Prendi molto calcio.
Sii gentile con le tue ginocchia, quando saranno partite ti mancheranno.
Forse ti sposerai o forse no.
Forse avrai figli o forse no.
Forse divorzierai a quarant'anni.
Forse ballerai con lei al settantacinquesimo anniversario di matrimonio.
Comunque vada, non congratularti troppo con te stesso, ma non rimproverarti neanche.
Le tue scelte sono scommesse. Come quelle di chiunque altro.
Goditi il tuo corpo. Usalo in tutti i modi che puoi.
Senza paura e senza temere quel che pensa la gente.
E' il più grande strumento che potrai mai avere.
Balla. Anche se il solo posto che hai per farlo è il tuo soggiorno.
Leggi le istruzioni, anche se poi non le seguirai.
Non leggere le riviste di bellezza. Ti faranno solo sentire orrendo.
Cerca di conoscere i tuoi genitori. Non puoi sapere quando se ne andranno per sempre.
Tratta bene i tuoi fratelli. Sono il migliore legame con il passato e quelli che più
probabilmente avranno cura di te in futuro.
Renditi conto che gli amici vanno e vengono. Ma alcuni, i più preziosi, rimarranno.
Datti da fare per colmare le distanze geografiche e di stili di vita,
perche più diventi vecchio, più hai bisogno delle persone che conoscevi da giovane.
Vivi a New York per un po', ma lasciala prima che ti indurisca.
Vivi anche in California per un po', ma lasciala prima che ti rammollisca.
Non fare pasticci coi capelli, se no quando avrai quarant'anni sembreranno di un 85nne.
Sii cauto nell'accettare consigli, ma sii paziente con chi li dispensa.
I consigli sono una forma di nostalgia.
Dispensarli è un modo di ripescare il passato dal dimenticatoio, ripulirlo,
passare la vernice sulle parti più brutte e riciclarlo per più di quel che valga.
Ma accetta il consiglio... per questa volta.

 

dal film "The Big Kahuna"

 

 

 

 

 

Credo

Credo nelle rovesciate di Bonimba e nei rift di Keith Richard.
 
Credo al doppio suono di campanello del padrone di casa che vuole laffitto ogni primo del mese.
 
Credo che ognuno di noi meriterebbe di avere una madre e un padre che siano decenti con lui almeno fino a quando non si sta in piedi.
 
Credo che un Inter come quella di Corso, Mazzola e Suarez non ci sarà mai più, ma non è detto che non ce ne saranno altre belle in maniera diversa.
 
Credo che non sia tutto qua. Però prima di credere in qualcosa daltro bisogna fare i conti con quello che cè qua, e allora mi sa che crederò prima o poi in qualche Dio.

Credo che se mai avrò una famiglia sarà dura tirare avanti con 300000 al mese ma credo anche che se non leccherò culi come fa il mio capo-reparto difficilmente cambieranno le cose.
 
Credo che ci ho un buco grosso dentro ma anche che il rock and roll, qualche amichetta , il calcio, qualche soddisfazione sul lavoro, le stronzate con gli amici... beh ogni tanto questo buco me lo riempiono.
Credo che la voglia di scappare da un paese con 20000 abitanti vuol dire che hai voglia di scappare da te stesso e credo che da te stesso non ci scappi neanche se sei Eddie Merx.
 
Credo che non è giusto giudicare la vite degli altri perché non puoi sapere proprio un cazzo della vita degli altri.
 
Credo che per credere certi momenti ti ci vuole molta energia.
 

 

dal film "Radiofreccia"
 

 

Indifferenti

Odio gli indifferenti. Credo come Federico Hebbel che "vivere vuol dire essere partigiani". Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.
 
L'indifferenza è il peso morto della storia. E' la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall'impresa eroica.
 
L'indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. E' la fatalità; e ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che si ribella all'intelligenza e la strozza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, il possibile bene che un atto eroico (di valore universale) può generare, non è tanto dovuto all'iniziativa dei pochi che operano, quanto all'indifferenza, all'assenteismo dei molti. Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. La fatalità che sembra dominare la storia non è altro appunto che apparenza illusoria di questa indifferenza, di questo assenteismo. Dei fatti maturano nell'ombra, poche mani, non sorvegliate da nessun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa. I destini di un'epoca sono manipolati a seconda delle visioni ristrette, degli scopi immediati, delle ambizioni e passioni personali di piccoli gruppi attivi, e la massa degli uomini ignora, perché non se ne preoccupa. Ma i fatti che hanno maturato vengono a sfociare; ma la tela tessuta nell'ombra arriva a compimento: e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia che un enorme fenomeno naturale, un'eruzione, un terremoto, del quale rimangono vittima tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. E questo ultimo si irrita, vorrebbe sottrarsi alle conseguenze, vorrebbe apparisse chiaro che egli non ha voluto, che egli non è responsabile. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi anch'io fatto il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, il mio consiglio, sarebbe successo ciò che è successo? Ma nessuno o pochi si fanno una colpa della loro indifferenza, del loro scetticismo, del non aver dato il loro braccio e la loro attività a quei gruppi di cittadini che, appunto per evitare quel tal male, combattevano, di procurare quel tal bene si proponevano.
 
I più di costoro, invece, ad avvenimenti compiuti, preferiscono parlare di fallimenti ideali, di programmi definitivamente crollati e di altre simili piacevolezze. Ricominciano così la loro assenza da ogni responsabilità. E non già che non vedano chiaro nelle cose, e che qualche volta non siano capaci di prospettare bellissime soluzioni dei problemi più urgenti, o di quelli che, pur richiedendo ampia preparazione e tempo, sono tuttavia altrettanto urgenti. Ma queste soluzioni rimangono bellissimamente infeconde, ma questo contributo alla vita collettiva non è animato da alcuna luce morale; è prodotto di curiosità intellettuale, non di pungente senso di una responsabilità storica che vuole tutti attivi nella vita, che non ammette agnosticismi e indifferenze di nessun genere.
 
Odio gli indifferenti anche per ciò che mi dà noia il loro piagnisteo di eterni innocenti. Domando conto ad ognuno di essi del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze virili della mia parte già pulsare l'attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c'èin essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano nel sacrifizio; e colui che sta alla finestra, in agguato, voglia usufruire del poco bene che l'attività di pochi procura e sfoghi la sua delusione vituperando il sacrificato, lo svenato perché non è riuscito nel suo intento.
 
Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.
 
 
Antonio Gramsci - "La Città futura", pp. 1-1 Raccolto in SG, 78-80.
 
 
 
 


 


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